
Art Resource, NY; 2014 Estate of Pablo Picasso/Artists Rights Society (ARS), New York
Apple è sempre stata nota, oltre che per i suoi prodotti, per l’estrema riservatezza dei suoi dirigenti*. Nel campus Apple si può acquistare una maglietta con la scritta: “Sono stato a visitare il campus Apple. Di più non posso dire”. Ma in questi giorni un libro e un’inchiesta giornalistica ci consentono di svelare alcuni dei segreti che hanno permesso a Steve Jobs di creare una delle imprese più innovative del nostro tempo.
Il libro, Jony Ive. Il genio che ha dato forma ai sogni Apple – edito in Italia da Sperling & Kupfer – è un lungo e accurato dialogo tra Jony Ive, oggi Senior Vice President of Design di Apple, e Leander Kahney, giornalista che da molti anni segue quello che si può a ragione definire ‘il culto del Mac’ (e su questo culto ha scritto un libro edito in Italia da Mondadori).
Ive, nato in un sobborgo di Londra, cresciuto con la passione di ‘smontare e rimontare’ qualunque tipo di oggetto, non è solo un grande designer ma anche uno straordinario comunicatore. “La memoria di come lavoriamo vivrà oltre i prodotti stessi del nostro lavoro, se la sapremo comunicare”, dichiarò in un’intervista. Da ragazzo Ive studiò alla Chingford Foundation School – la stessa che 8 anni dopo sarà frequentata dal calciatore David Beckam. Ive ama i libri e i musei; è allo studio del Rinascimento italiano che deve l’attenzione continua per la “bellezza” e l’equilibrio delle forme.
Il suo arrivo in Apple, all’interno del ‘dream team’, si deve a Robert Brunner, l’uomo che mise in piedi il settore dedicato ai progetti di design. L’incontro tra Jobs e Ive avviene nel 1997. “Molti commettono l’errore di pensare” – scriveva Jobs- “che il design di un oggetto sia il modo in cui appare. Questa non è la nostra idea di design. Non si tratta solo di come un prodotto appare, ma il design deve avere a che fare con il suo funzionamento”. Il suo obiettivo, una volta ripreso il comando di Apple, era tornare a proporre prodotti realmente innovativi, di ottimo design e accurata fattura.
La valorizzazione del momento creativo, il continuo scambio di idee, la convinzione di lavorare all’interno di un gruppo che cerca di anticipare i grandi cambiamenti portati dall’innovazione, permettono a Ive e al suo team di rivoluzionare non solo il mondo dell’IT, ma anche il modo delle persone di rapportarsi alla tecnologia.
L’articolo pubblicato sul New York Times del 10 agosto ci rivela alcuni dettagli su un altro dei segreti meglio custoditi da parte di Apple: la formazione di chi lavora per l’azienda californiana. Possiamo così conoscere alcuni dei metodi e dei contenuti utilizzati dalla cosiddetta ‘Apple University’, la scuola in cui i nuovi collaboratori – e addirittura anche i nuovi partner commerciali – di Apple vengono introdotti al metodo di lavoro su cui Steve Jobs fondò la sua azienda, insieme con Steve Wozniak e ad altri colleghi, nel 1976.
Per avere un’idea della segretezza in cui si svolgono i lavori in questo luogo, basti considerare che perfino nella biografia autorizzata di Jobs, scritta da Walter Isaacson, la Apple University viene soltanto menzionata.
Le ‘rivelazioni’ sulle metodologie di formazione Apple pubblicate sul New York Times derivano dalle dichiarazioni di tre dipendenti Apple che, in cambio dell’anonimato, hanno acconsentito a farci conoscere informazioni che il loro datore di lavoro scoraggia fortemente dal diffondere.
L’Università’ di Apple è completamente in-house (a differenza di molte altre aziende non affida a terzi la formazione del suo personale) ed è basata sull’impegno e le competenze di docenti che provengono da atenei come Yale, Harvard, Berkeley, Stanford, il M.I.T. Alcuni di essi continuano a svolgere parte delle loro mansioni didattiche nei rispettivi campus di appartenenza, altri sono invece assunti a tempo pieno per i programmi della Apple University.
È il caso del responsabile, Joel Podolny, che fu scelto nel 2008 da Jobs e resta ancora oggi a capo della Apple University. Per ricoprire questo nuovo incarico, Podolny lasciò la posizione da preside della Yale School of Management.
Come ogni altra tipologia di ‘prodotto’ Apple, anche questi cicli di lezioni sono accuratamente progettati e curati in ogni aspetto, dalle presentazioni agli strumenti per lo studio in dotazione ai partecipanti. Proprio come per un nuovo dispositivo Apple, dietro l’apparente semplicità dell’insieme, si nasconde uno straordinario e faticoso lavoro, svolto sulla progettazione e la scelta delle singole parti.
All’atto dell’iscrizione ai corsi, che avviene online, tramite un sito riservato, si indica la propria attività e il settore in cui si è impegnati e, in base ad essi, si viene assegnati ad una ‘classe’. Una volta ammessi alla frequenza si accede a un ambiente esclusivo, interamente ospitato dal Campus Apple di Cupertino, California. Secondo quello che rivela il New York Times, tutte le aule hanno una speciale forma trapezoidale e la parte destinata agli allievi è sopraelevata rispetto a quella dei docenti, per assicurare la massima concentrazione, proprio come in un antico teatro anatomico.
Particolare approfondimento è dedicato all’analisi delle scelte cruciali operate nel corso della storia di Apple. Come il caso in cui, dopo molti dubbi e ripensamenti, Jobs permise che gli iPod funzionassero anche sui pc Windows, consolidando enormemente il mercato della piattaforma di iTunes. Altre volte i cicli di lezioni sono molto più specifici: ad esempio, sono stati tenuti dei corsi destinati esclusivamente ai fondatori e ai principali collaboratori di Beats by Dr. Dre, un’azienda specializzata nella produzione di cuffie audio e amplificatori, di recente acquisita da Apple.
Ma il più suggestivo dei contenuti didattici rivelati dall’articolo è senza dubbio quello che riguarda le scelte del design Apple e gli esempi mediati dall’esperienza artistica di Pablo Picasso. L’idea di basare una lezione all’interno del tema “come comunicare il marchio Apple” è dovuta a Randy Nelson, un docente che proviene dallo studio di animazione Pixar, e a una riflessione ricorrente di Jobs: “Per riuscire a dormire la notte, bisogna perseguire fino in fondo il proprio senso estetico e la propria idea di qualità. Ma ricordatevi di confrontarvi con i Maestri”.
La “lezione” fa parte dei ‘classici’ di Apple University, sebbene risalga solo a un anno fa: ai partecipanti viene mostrata una serie di 11 litografie realizzate da Picasso nell’arco di un mese, nel 1945; rappresentano il disegno di un toro in 11 diversi stadi della sua ‘semplificazione’ figurativa, da una versione del tutto naturalistica a quella, essenziale, che fissa le caratteristiche inconfondibili del tratto cubista del grande maestro spagnolo.
Dopo aver fatto scorrere le immagini dell’opera d’arte, Nelson si sofferma sul telecomando della Google Tv, dotato di 78 pulsanti di plastica e lo confronta con un Apple Remote, un sottile prodotto in alluminio che ha solo 3 pulsanti.
Sia Picasso che i designer Apple, spiega Nelson, eliminando progressivamente alcuni dettagli, concentrandosi sulle cose essenziali, operano delle precise scelte, definendo la personalità e l’unicità, rispettivamente, di figurazione e di design di un disegno e di un prodotto. Concentrandosi sul contenuto e badando a mostrare con semplicità il risultato di un pensiero complesso non si fanno rinunce, ma si creano ‘opere d’arte’. Jobs ci riusciva con tenacia, una grande curiosità, una maniacale attenzione ai particolari. La verità è, come dice Ive, pensando al suo maestro, è che “essere diversi è molto facile. Quel che è difficile è essere i migliori”.
*Questo post è uscito nella sua forma originale sull’edizione italiana di Huffington Post il 13 agosto 2014
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