Una foto panoramica del territorio di Fasano, in provincia di Brindisi

Una foto panoramica del territorio di Fasano, in provincia di Brindisi

Questo post contiene un mio contributo all’edizione 2015 di “Mafie”, organizzata per il 17 dicembre scorso dal presidio fasanese di “Libera – Associazioni, nomi e numeri contro le mafie”

Vorrei innanzitutto ringraziare il Laboratorio Urbano, l’associazione culturale Le nove muse la fondazione Angelo Vassallo e Giusy Santomanco per avermi voluto coinvolgere in questa importantissima iniziativa, alla quale purtroppo non ho potuto partecipare di persona a causa di impegni pregressi.
La manifestazione “Mafie”, giunta quest’anno alla quarta edizione, rappresenta un appuntamento ormai consolidato nel panorama delle iniziative antimafia, e un’occasione di riflessione e di formazione di grande valore per gli studenti e per la comunità intera.

«La mafia uccide, il silenzio pure», diceva Peppino Impastato dai microfoni della sua radio, prima che un potere più forte delle sue parole lo facesse tacere per sempre con la forza della prevaricazione, dell’ingiustizia, della corruzione. Il potere delle mafie è un potere immediato, che facilmente si esercita su un popolo che ha paura perché non è unito da sentimenti di comunità e quindi è inconsapevole delle sue capacità, e preferisce abbandonarsi al silenzio e all’omertà. Ma è un potere instabile, quello basato sulla violenza, sull’ossequio alle regole di casta e sul clientelismo, insomma su tutti quegli aspetti che caratterizzano una società fatta di oppressori e oppressi, dove tutti, sotto la maschera delle apparenze, sono fondamentalmente nemici tra loro perché i rapporti si basano soltanto sulla legge del più forte.

È un potere instabile e precario perché basta poco per risvegliare in un gruppo di persone legami e rapporti diversi da quelli instaurati dalle associazioni mafiose nei territori da esse controllati: basta poco perché un popolo prenda coscienza del suo potere e inizi a sentirsi non più una massa di individui solitari e in lotta tra loro, ma una comunità unita dall’obiettivo di liberarsi da vincoli che non hanno nessun valore o fondamento morale, civile, sociale, religioso, nonostante a lungo le mafie abbiano operato in senso contrario per giustificare e rafforzare la loro presa sui territori.
Basta aprire gli occhi per rendersi conto che non c’è nulla che giustifichi l’ossequio a un sistema che uccide: non i legami di sangue, non i patti basati su un onore che onore non è, non la scellerata connivenza delle istituzioni, non la promessa di protezione, di denaro, di una casa, di un impiego («Voi che date conforto e lavoro, eminenza vi bacio e v’imploro», fece dire Fabrizio de André al secondino che in carcere sbarbava Don Raffaè).

Ciò che può spezzare questa gabbia di connivenza è la parola. Dove il silenzio uccide, la parola può salvare. La parola è conoscenza, e la conoscenza apre nuovi orizzonti che possono sconvolgere anche gli equilibri più stabilizzati, anche le consuetudini più incancrenite. La cultura è la chiave per ricostruire un senso di comunità che si fondi sulla giustizia, che dia ai cittadini la consapevolezza dei loro diritti e dei loro doveri. La cultura è riappropriazione dei beni comuni, delle terre finalmente sottratte alla mafia che ora generano redditi sociali, virtuosi e condivisi, una battaglia che ogni giorno combattono numerose associazioni; riappropriazione dei monumenti e delle opere d’arte, che da luoghi di degrado o feticcio dei boss ritornano simboli delle radici, della storia, delle aspirazioni di gruppi sociali e territori – si pensi alla reggia di Carditello, abbandonata e spogliata per anni e anni delle sue vestigia ed ora finalmente tornata di proprietà pubblica, che auspichiamo diverrà un vero e proprio presidio delle istituzioni nel cuore della Terra dei Fuochi; e questo è stato possibile perché una rete di cittadini ha posto fine al silenzio, ha adoperato la parola per portare avanti la sua istanza di cambiamento.

La parola è anche quella dei giornalisti, uno fra tutti Giancarlo Siani, con la sua Mehari che gira ancora l’Europa, ritrovata e rimessa a nuovo da Marco Risi per il pluripremiato film Fortàpasc, tangibile simbolo del fatto che «gli uomini passano, le idee restano» – sono le notissime parole di Giovanni Falcone, quasi un testamento morale della sua indefessa attività antimafia.
È quella degli scrittori – non a caso uno degli ultimi libri di Roberto Saviano si intitola proprio La parola contro la camorra, dove scrive «Ogni lettore che protegge un libro, sta permettendo alle tante vicende avvolte nell’ombra di diventare storie degne di essere raccontate. Ai morti diventati un numero, di tornare a essere persone. Ai sogni rimasti a margine, di tornare a essere possibilità reali». «Ma – prosegue Saviano – perché la parola diventi realmente efficace contro le mafie, non deve concedere tregua».

E molti sono coloro, nel mondo della cultura, della letteratura, del cinema, della musica, del teatro, che non intendono concedere tregua: artisti che si impegnano a diffondere nel nostro Paese la verità sulla scia di sangue, di crimine, di scempi ambientali, di ingiustizie quotidiane che sta dietro a quella che definiamo semplicemente «mafia», immaginandola a volte come una realtà lontana, come uno scenario da film poliziesco, troppo spesso senza renderci conto che la realtà è ben diversa, e che i clientelismi di stampo mafioso possono nascere ogni giorno vicinissimi a noi, anche nelle realtà più piccole e meno inquinate.

Per preservare un territorio, una comunità da questo tangibile rischio esiste solo un’alternativa, ed è quella che tutti si prendano carico del compito di costruire giorno per giorno una società più pulita, più equa, più trasparente. E per far questo la chiave è nella parola: contro le connivenze, l’illegalità, i clientelismi, contro chi minimizza la portata del fenomeno, contro le trasmissioni televisive che si prestano alla sua banalizzazione, la parola precisa e netta di chi si oppone, di chi pretende chiarezza e rispetto delle regole, è lo strumento più affilato di cui possiamo dotarci.

Spesso, quando si parla di cultura come volano di rilancio per il nostro Paese, esagerandone a volte la sua funzione di nuovo ‘petrolio’, si tende a porre in secondo piano il valore morale e civile che soggiace all’investimento in questo settore. Io credo, invece, che sia un vero e proprio dovere quello di custodire e tramandare alle generazioni future l’immensa ricchezza che abbiamo ricevuto in retaggio dai nostri predecessori; ed è un dovere che non riguarda soltanto gli addetti ai lavori – le soprintendenze, i musei, le biblioteche –, ma piuttosto riguarda ognuno di noi. Ogni cittadino è responsabile per gli spazi pubblici, i monumenti, l’integrità ambientale del luogo in cui vive, e ognuno dovrebbe saper attivare buone pratiche che ne favoriscano la tutela. Quotidianamente, su tutto il territorio nazionale, fioriscono tantissime iniziative votate alla cura degli spazi pubblici, associazioni che si occupano di promozione sociale, eventi, luoghi di cultura.

Numerosi sono ormai, sul web, gli strumenti nati con l’intento di condividere e promuovere questa varietà di esperienze, superando le distanze materiali e mettendo in comune conoscenze e, appunto, buone pratiche.

La piattaforma multimediale #laculturachevince è uno di questi, ed è votata a raccogliere e recensire proprio le buone pratiche di chi è impegnato nel mondo della cultura: si tratta di un portale wiki, incrementato da tutti coloro che partecipano al progetto e da un team ‘redazionale’ incaricato di coordinare i materiali che vanno ad arricchire quotidianamente il database, la cui consultazione fornisce un ulteriore riscontro sulle straordinarie opportunità di crescita economica e civile offerte dall’iniziativa in ambito culturale nel nostro Paese.

Le buone pratiche individuate da #laculturachevince sono organizzate in cinque linee guida: impronta culturale e sociale dell’organizzazione della pratica e dei suoi contenuti; rapporto con il territorio; innovazione; promozione di buone pratiche sociali, ambientali e di tutela del territorio; cultura della legalità. Sono già numerose le manifestazioni schedate sul sito insieme a musei, associazioni, biblioteche, fondazioni e comitati che quotidianamente si occupano di proteggere e valorizzare il nostro patrimonio culturale.

Sono convinto che strumenti di questo tipo possano garantire ulteriore visibilità e favorire lo scambio di competenze e strategie tra coloro che operano nel campo della promozione del patrimonio culturale, ad ogni livello.

E, in effetti, sono già numerosi gli esempi schedati sulla piattaforma, come sono numerose le realtà, che ho avuto occasione di conoscere in questi anni in tutta la Penisola, dove si fa della cultura uno strumento di riscatto sociale e di riqualificazione civile dei territori.

In questo senso saltano agli occhi le enormi potenzialità che risiedono nel mondo del no profit, con il volontariato, le associazioni, le ONLUS, le fondazioni e le reti civiche, che si dimostrano spesso straordinario strumento di partecipazione civile, confronto e iniziativa dei privati cittadini: si tratta di un fenomeno ormai ampiamente diffuso in tutto il territorio nazionale. Pensiamo alle numerose associazioni nate con lo scopo di tutelare o valorizzare un singolo bene culturale, la cui attività si è poi estesa e arricchita fino a renderle interlocutori di prim’ordine delle amministrazioni locali in campo culturale; alle reti di cittadini che si fanno carico della tutela degli spazi urbani; ai moltissimi soggetti no profit che si impegnano nella gestione di servizi inerenti al terzo settore (biblioteche, musei, organizzazione di eventi culturali).

Dei numerosissimi casi che potrei citare, vorrei soffermarmi su uno in particolare, che rappresenta la capacità di iniziativa del mondo del volontariato anche e soprattutto in contesti difficili, dove le istituzioni spesso faticano ad arrivare: parlo della mediateca di Scampia curata dal Centro Territoriale Il Mammut, un luogo votato alla promozione della lettura e dell’uso intelligente delle nuove tecnologie, e che agisce con l’intento, come si legge nella home page del sito, «di consolidare una “comunità” dai confini nazionali attraverso cui “fare scuola” con bambini, ragazzi, adulti italiani, stranieri e rom».
Un altro progetto che mi sta particolarmente a cuore, sempre a Napoli, è Salviamo l’Arte, nato dall’iniziativa degli studenti di Archeologia e Storia dell’Arte dell’Università Federico II, che, come scrivono nel loro progetto, si sono uniti «nella convinzione che l’arte, la più grande ricchezza d’Italia, rappresenti il luogo dove concepire la rinascita di una coscienza comune, del senso civico, della libertà individuale».

Per tornare poi alle biblioteche ‘di confine’, come non citare la Biblioteca Comunale per bambini e ragazzi di Lampedusa, che raccoglie un’ampia scelta di quelli che vengono correntemente definiti silent books, ovvero i libri senza parole che, in quanto tali, possono annullare ogni barriera linguistica e culturale e sono particolarmente adatti a stimolare e facilitare l’incontro tra bambini di origini e culture diverse.

Sono convinto che questi due aspetti, cultura e integrazione, siano fortemente interdipendenti: non si può parlare di ricostruzione di senso civico, di comunità, di legalità, se non ci si sofferma sui temi dell’accoglienza e della solidarietà.

Questa è una lezione che gli operatori no profit e il mondo del volontariato conoscono bene, a volte addirittura meglio di chi lavora dall’interno delle istituzioni e spesso non ha la possibilità di impegnarsi ‘in prima linea’. E invece è proprio questo che fanno le migliaia di volontari, a volte giovani e giovanissimi, e sempre molto competenti, che quotidianamente si occupano di tutela del patrimonio culturale e dell’ambiente, di promozione sociale, di lotta contro le mafie: e questa è davvero la ricchezza più grande sulla quale possiamo contare per il rilancio economico, ma soprattutto civile e culturale, del Paese.

Quello di Angelo Vassallo è un nome che è rimasto impresso in modo indelebile nella memoria di ogni italiano che creda nella possibilità di vincere la battaglia per la legalità e contro la barbarie che soggiace ai sistemi mafiosi. Ricordo la sua instancabile attività al servizio delle istituzioni, come sindaco di Pollica per tre mandati consecutivi, come consigliere provinciale di Salerno, come presidente della Comunità del parco del Cilento e del Vallo di Diano. Anche il suo impegno nella vita associativa era di straordinaria rilevanza, in particolare all’interno dell’associazione Slow Food: in quel contesto si era fatto portavoce della proposta di includere la dieta mediterranea nella lista UNESCO dei Patrimoni immateriali dell’umanità, proposta accolta a Nairobi nel novembre 2010, a soli due mesi dal suo assassinio. Numerosissimi sono i riconoscimenti tributati alla sua memoria dalle istituzioni, prima tra tutte il Parlamento Europeo, e dal mondo della cultura, dell’arte e dell’associazionismo italiano e internazionale.

Grazie a lui, Pollica è divenuta la capitale mondiale della Dieta Mediterranea. Ancel Keys, il biologo statunitense che per primo coniò quest’espressione, visse per ben quarant’anni nel paese per studiare i benefici di un’alimentazione che nel frattempo è divenuta un vero e proprio brand a livello mondiale, con macroscopici risvolti, per l’Italia, non solo in termini di export, ma anche e soprattutto di conservazione e promozione di una tradizione che include conoscenze e pratiche che vanno dal paesaggio alla tavola, attraverso le colture, la raccolta, la pesca, la preparazione e il consumo di cibo; i suoi punti di forza sono il rispetto per la biodiversità, che garantisce lo sviluppo delle attività tradizionali e dei mestieri collegati alla pesca e all’agricoltura nelle comunità del Mediterraneo, e il ruolo delle donne nella trasmissione delle competenze, dei riti, dei gesti tradizionali che accompagnano un modo di nutrirsi che è ormai unanimemente percepito come il migliore del mondo.

Nel raggiungere un tale straordinario risultato, il ruolo di Angelo Vassallo è stato cruciale; ma la sua attività non si è certo limitata a questo. Il suo costante impegno per la tutela dell’ambiente, che l’ha purtroppo portato nel mirino della camorra, è anche la più grande eredità che lascia ai suoi concittadini: non a caso Pollica ha ricevuto più volte il prestigioso riconoscimento della Bandiera Blu di Legambiente e Touring Club per la salubrità del suo mare. La sua ordinanza che decretava una multa di mille euro per chi gettava a terra mozziconi di sigarette – che all’epoca dell’emissione fu accolta come singolare e bizzarra da gran parte dell’opinione pubblica nazionale –, non era che una prova tangibile della sua reale e concreta comprensione di quanto fosse importante preservare con ogni mezzo l’integrità ambientale del Cilento.

La sua lungimiranza nel puntare, per il rilancio del territorio che amministrava, non sul cemento, ma sulla natura, sulla decrescita, sul turismo sostenibile, sulle energie rinnovabili, sulla lotta all’evasione fiscale – un’altra ordinanza che suscitò clamore fu quella che stabiliva la revoca delle concessioni comunali a chi non fosse in regola con il pagamento delle tasse – è servita a Pollica per divenire, su molti di questi aspetti, un comune all’avanguardia.

Nel Parco sono infatti attualmente attive diverse piccole comunità che provano a praticare la sovranità alimentare e l’autonomia energetica con fonti alternative. Ma anche a livello nazionale si sono moltiplicati, negli ultimi anni, i movimenti e le iniziative per la decrescita, per la tutela dell’ambiente, per il risparmio energetico, per la protezione dell’enogastronomia di qualità.
Che la memoria di Angelo Vassallo sia più viva che mai, così come la volontà di continuare la sua opera, è testimoniato anche da iniziative come lo spettacolo teatrale Il sindaco pescatore, diretto da Enrico Maria Lamanna e interpretato da Ettore Bassi, che debutterà a Fasano proprio stasera: spettacolo tratto dal libro di Dario, fratello di questo ordinario eroe che ha sacrificato la sua vita nell’impegno di difendere la sua terra dal crimine e dalla speculazione.

Le sue idee, a cinque anni dalla sua scomparsa, sono sempre più profondamente radicate tra i suoi concittadini, e ogni giorno emergono nuove persone in grado di portarle avanti: persone convinte che la bellezza che caratterizza il nostro Paese sia la nostra più grande ricchezza, e allo stesso tempo che la sua tutela sia la nostra più grande responsabilità verso le nuove generazioni. La bellezza può essere il motore di un vero cambiamento, una forza rivoluzionaria per combattere l’ingiustizia, le mafie, la corruzione, lo scempio del territorio. E non mi riferisco ad una bellezza artificiale, da cartolina, merce da vendere al miglior offerente: penso invece alla bellezza delle idee e dei gesti quotidiani con cui possiamo riappropriarci dei beni comuni, dell’arte e della storia che sono le nostre radici e il nostro futuro, e ribellarci al degrado e all’illegalità. Questa è la bellezza che rappresenta una speranza per il futuro del Paese; e su questo vorrei esortare gli studenti a riflettere, ringraziandovi per l’attenzione e augurandovi buon lavoro: poiché saranno proprio loro, domani, i destinatari e i responsabili di questa straordinaria eredità.


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