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Questo post raccoglie il mio saluto in occasione dell’incontro “Legge e legalità: le armi della democrazia. Dalla memoria della Shoah ad una integrazione dei diritti dell’uomo nell’Unione Europea”, che si è tenuto a Roma, presso l’Istituto della Enciclopedia Italiana, il 26 gennaio 2014.

Alle autorità, agli studiosi e al pubblico presenti vanno il mio saluto e il mio ringraziamento. Siamo onorati di ospitare oggi, nella sede dell’Istituto della Enciclopedia Italiana, questa importante giornata di riflessione organizzata dall’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane nell’ambito delle celebrazioni per la Giornata della Memoria, istituita sedici anni or sono come momento non solo di ricordo delle vittime della più immane tragedia della storia umana, ma anche come occasione di riflessione collettiva sull’importanza della democrazia e dell’antirazzismo, strumenti essenziali per garantire che simili eventi non abbiano mai più a ripetersi.

Come sappiamo, quest’anno, il prossimo 25 marzo, si celebrerà il sessantesimo anniversario della firma dei Trattati di Roma: uno dei momenti storici in assoluto più significativi per la realizzazione del sogno europeo di uno spazio comune fondato sulla pace, sull’interazione e sulla comunione d’intenti per la realizzazione dei diritti di ogni individuo. Questa Europa, nata sulle ceneri di una distruzione di proporzioni immani, si è voluta fondata sui valori del rispetto della vita e della diversità, incardinata sul solido e irrinunciabile principio della lotta ad ogni forma di razzismo e di pregiudizio etnico, religioso o culturale.

Oggi, tuttavia, come scrivono i promotori di questo convegno, «questi valori, vissuti e trasmessi alla nostra generazione, presenti in vario modo in Dichiarazioni e costituzioni nazionali, sono affievoliti e soggetti a grave rischio».
I nuovi, drammatici scenari dello scacchiere internazionale, combinati con gli effetti devastanti di una crisi finanziaria le cui conseguenze son ancora ben presenti e visibili, hanno infatti intaccato il tessuto sociale dell’Unione alimentando la sfiducia dei cittadini verso le istituzioni, e aprendo così il campo agli estremismi e all’antipolitica. La percepita incapacità dell’Europa di farsi carico delle istanze in favore di un’Unione meno burocratizzata e più vicina alle necessità reali dei suoi cittadini ha aggravato notevolmente la sfiducia verso questa istituzione, generando un’ondata di euroscetticismo senza precedenti dal secondo dopoguerra. E forse questa incapacità dell’Europa di ascoltare i cittadini è derivata anche dall’aver lasciato indietro l’integrazione sociale e culturale, concentrandosi solo su quella economica.

«Il processo di integrazione europea – scrive l’UCEI – affermato attraverso i diversi trattati e focalizzato prevalentemente sulla realizzazione delle libertà di circolazione e sugli obiettivi di mercato, va profondamente ripensato, mancando come forte collante il nucleo dei diritti fondamentali dell’uomo e delle aggregazioni sociali».
Ecco perché la ricorrenza dei sessant’anni della firma dei Trattati di Roma deve e può essere un punto di partenza per rilanciare il processo politico europeo al di là della stabilizzazione dei conti e dei mercati, per recuperare quel grande affresco comune che è il risultato di duemila anni di storia.

L’identità culturale europea è composta delle due grandi eredità ebraico-cristiana e greco-latina, che nel corso dei secoli del Medioevo e poi dell’Età moderna e contemporanea hanno contribuito alla creazione di una civiltà dalla straordinaria ricchezza intellettuale e artistica, nella quale sono state elaborate le tre grandi visioni del mondo che hanno forgiato l’uomo occidentale: quella della spiritualità religiosa, quella della speculazione filosofica e quella del pensiero scientifico. Questo costante e pervasivo processo di creazione ed elaborazione di cultura è di fondamentale importanza nei rapporti con i cittadini degli altri Stati che fanno parte dell’Unione, e una sua valorizzazione anche in chiave politico-programmatica rappresenta un presupposto irrinunciabile per ricostruire la fiducia dei cittadini nel “sogno europeo”.

È dunque meritorio e significativo l’intento di questo convegno, che si propone, con l’ausilio di illustri ed esperti relatori, di indagare, dal punto di vista storico e da quello giuridico, il rapporto tra legalità e valori, partendo dalla premessa che la Shoah stessa è stata sì il risultato della più atroce negazione dei valori fondamentali della vita umana, ma anche della promulgazione formalmente ineccepibile di leggi, ingiuste ma precise, proposte, approvate e rigorosamente applicate. Ed è quindi giustissima e profondamente condivisibile la preoccupazione che ha condotto l’UCEI a interrogarsi sul potere della legge, che può essere un essenziale strumento di tutela della persona e dei suoi diritti ma anche un’arma di distruzione di massa più terribile delle bombe stesse. È per questo che sono convinto che qualunque istituzione, dalle più piccole e locali alle più grandi, di respiro internazionale, debbano assolutamente fondare la propria azione su un modello politico che contempli, alla loro base, la cultura come conoscenza, memoria del passato, tutela delle identità e strumento di mediazione tra le identità, affinché mai più, per ignoranza o per paura, si alzino muri e si costruiscano barriere fondate sull’odio del diverso.

Oggi avremo tra l’altro l’occasione di ascoltare la testimonianza di un grande uomo come Shaul Ladany, sopravvissuto a Bergen Belsen e all’eccidio di Monaco del 1972, un atleta e un matematico che oggi è professore emerito alla Ben Gurion University del Negev. Lo scorso 22 gennaio ha partecipato a Run for Mem, la maratona voluta a Roma dall’UCEI in occasione della Giornata della Memoria. In quell’occasione, in un’intervista su Repubblica, ha detto che «ogni giorno si assottigliano le voci dei testimoni della Shoah, di chi è stato nei campi e può ancora raccontare in prima persona la tragedia che ha vissuto. È importante che le nuove generazioni sappiano cosa accadde dai racconti di chi nei campi c’è stato».
Anche Primo Levi, d’altronde, ha più volte dichiarato che la sua opera più importante, Se questo è un uomo, fu scritta sull’onda del «bisogno irrinunciabile di raccontare agli altri, di fare gli altri partecipi». Quella di ricordare e raccontare è una scelta di grande coraggio, alla quale dobbiamo guardare con gratitudine e ammirazione, nella consapevolezza che la memoria è l’unica arma che abbiamo per assicurare il nostro avvenire dal ripetersi di simili fatti.
È compito delle istituzioni europee, dei governi nazionali, ma anche e soprattutto di ogni singolo cittadino far sì che da questo momento così incerto esca una società migliore, più aperta ai diritti, alla cultura, alla coesione sociale: è nostro dovere vigilare perché la paura non sia, di nuovo, usata come strumento per manipolare le coscienze e per giustificare leggi inique e azioni immorali. Solo se torneremo a sentirci protagonisti di questo processo potremo credere in una nuova fase dell’integrazione europea che faccia della solidarietà la sua vera bandiera, e che riparta dalle persone, dai loro bisogni, dalla loro voglia di esprimersi e di costruire ponti piuttosto che barriere.
L’Europa deve continuare a essere punto di riferimento per coloro che fuggono dalle guerre, dalle persecuzioni etniche e religiose, dalle carestie e dal sottosviluppo, e la politica dell’accoglienza deve essere lo specchio in cui trovare riflessa la luce di questi ideali che ci hanno consentito di vivere sessant’anni di pace e sviluppo dopo la più grande e devastante guerra della storia umana.

Dobbiamo, quindi, perseverare nella difesa di tali valori e nella loro diffusione, lottando contro le forze centrifughe e disgregatrici alimentate dai nazionalismi, dalle intolleranze e dai populismi che si diffondono purtroppo in molti Stati europei.
Vorrei concludere queste riflessioni citando un discorso pronunciato da Alcide De Gasperi, che del sogno europeo fu uno dei padri fondatori: «Per resistere è necessario ricorrere alle energie ricostruttive ed unitarie di tutta l’Europa. Contro la marcia delle forze istintive e irrazionali non c’è che il supremo appello all’istanza della nostra civiltà comune: costituire questa solidarietà della ragione e del sentimento della libertà e della giustizia, e infondere all’Europa unita quello spirito eroico di libertà e di sacrificio che ha portato sempre la decisione nelle grandi ore della storia».
Buon lavoro.

Legge e legalità: le armi della democrazia

Dalla memoria della Shoah ad una integrazione dei diritti dell’uomo nell’Unione Europea

Roma, Istituto della Enciclopedia Italiana

26 gennaio 2014

 


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